Dal coding assistito al triage del backlog, l’AI si sta diffondendo in ogni ruolo e dipartimento della software factory, spingendoci a ripensare il modo in cui affrontiamo le nostre attività. Meglio adottare un approccio AI-first, partendo da ciò che suggerisce il modello per poi rifinire, oppure lavorare in modo tradizionale e usare l’AI solo come revisore? Quali attività traggono vantaggio dal primo approccio e quali dal secondo? E ce ne sono altre che resteranno, almeno per ora, estranee all’uso dell’AI?

Domande senza risposta

Non esistono ancora risposte definitive, ma queste domande sono un ottimo punto di partenza per le riflessioni che i leader e i ruoli senior di una software factory dovrebbero porsi in questa fase di trasformazione profonda, che ha il sapore di un vero cambio di paradigma. Cultura, valore e tecnologia sono i valori fondanti di una software factory e l’AI deve essere al servizio di questi. L’adozione dell’intelligenza artificiale è un moltiplicatore di questi valori se integrata con dovizia nei metodi aziendali.

Cultura

La cultura resta il valore primario che permette alla software factory di evolvere in una software factory potenziata dall’AI. Serve un approccio orientato al miglioramento continuo e alla sperimentazione, con la consapevolezza che gli strumenti basati sull’AI non risolvono magicamente tutti i problemi. Anzi, portano con sé nuove sfide, come la protezione della proprietà intellettuale e la gestione di codice generato che rischia di accumularsi come debito tecnico. Una cultura aperta evita di chiudersi a questa nuova generazione di strumenti e metodi: una chiusura prolungata rischierebbe infatti di rendere la software factory non più competitiva sul mercato.

Valore

Erogare valore ai clienti e agli utenti finali resta la stella polare di ogni software factory. Non importa quante tecnologie nuove arrivino a bussare alla porta: alla fine il vero banco di prova è sempre lo stesso, riuscire a trasformare il lavoro del team in qualcosa che migliori la vita delle persone. L’intelligenza artificiale ti promette di accorciare la distanza tra un’idea e il suo impatto: funzionalità sviluppate in tempi record, costi di produzione più bassi, accesso a capacità tecniche un tempo riservate solo a pochi specialisti. In teoria, un ciclo più rapido e leggero per portare innovazione nelle mani di chi la utilizza. Ma, come sempre, la medaglia ha due facce. Gli studi più recenti, come il DORA DevOps Report 2024, mostrano che l’adozione dell’AI non è una bacchetta magica: se gestita male, può persino rallentare le performance complessive di delivery. Il punto non è quindi quanta AI sai usare, ma come usarla per erogare vero valore.

Tecnologia

La tecnologia è parte integrante dell’identità di una software factory: è il suo DNA, il suo modo di affrontare i problemi e di trasformarli in soluzioni utili. Non si tratta di un dettaglio accessorio, ma della sua stessa ragion d’essere come business che eroga valore attraverso la più dirompente innovazione degli ultimi cento anni: l’informatica (almeno io penso che lo sia, dopo tutto siamo nella cosiddetta era dell’informazione). Oggi, una nuova generazione di strumenti sta ridisegnando i confini di ciò che è possibile. Comprenderli, sperimentarli e integrarli con dovizia significa garantire continuità e competitività: non solo rispetto a cosa si è in grado di sviluppare, ma anche come lo si fa e a quali costi. Una software factory che non abbraccia questo cambiamento rischia di rimanere ancorata a modelli operativi sempre più inadeguati, mentre chi saprà cavalcarlo potrà costruire un vantaggio competitivo duraturo. Ma c’è un’altra questione: le aspettative degli utenti. I clienti non vogliono più solo software funzionante: si aspettano applicazioni capaci di apprendere, che capiscano e quasi anticipino i loro bisogni. Questo significa che l’AI non sarà soltanto un alleato interno, utile a migliorare processi, velocizzare rilasci e ridurre costi, ma dovrà diventare anche parte integrante dei prodotti e servizi offerti.

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